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Alla raccolta del grano seguivano la vendemmia e la raccolta delle olive che erano lavori piacevoli. A queste attività partecipavano tutti, anche i vecchi e i bambini.
Dall'alba al tramonto, nel periodo della vendemmia, le contrade e i campi si riempivano di canti, di un vociare festoso di grida e incitamenti: alcuni staccavano i grappoli dalle viti e li deponevano nei cesti e poi nelle bigonce, altri caricavano sulle bestie quei recipienti in legno pieni d'uva e facevano la spola dalla vigna alle case dove si pigiava l'uva, nel passato anche con i piedi.
Nelle cantine c'erano gli uomini più giovani e robusti a stringere i torchi per spremere il frutto fino all'ultima goccia di mosto, che continuamente e lentamente riempiva le botti.
Per dare colore al vino si faceva stare nei tini o nelle botti stesse, per più tempo, il mosto con le bucce d'uva. Ai più vecchi era riservato il compito di alimentare la "fornacella" sulla quale c'era un grosso caldaio di rame dove il mosto veniva fatto bollire per fare il "vino cotto", una specie di Porto o Vinsanto o Zibibbo, con la differenza che questi vini si ricavano ancora oggi dalla spremitura di uva passa (appassita), mentre il vino cotto era il risultato della fermentazione del mosto concentrato per effetto dell'essiccazione durante la bollitura.
Durante la vendemmia si mangiava una volta al giorno perchè si piluccava continuamente e quindi l'appetito veniva meno. L'altro pasto si consumava la sera a casa.
Dopo cena, mentre le donne rassettavano e preparavano la colazione per il giorno dopo, gli uomini tornavano in cantina per finire di sistemare il mosto nelle botti, controllarne il grado zuccherino, togliere le vinacce dai torchi, pulire, preparare gli attrezzi per il giorno dopo.
La produzione del vino a Bomba risale a tempi molto lontani. Uno storico del 1700, Lorenzo Giustiniani, nel suo libro "Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli" dice di Bomba : "Nel 1471 contava 165 fuochi e la maggiore ricchezza era data dalle ghiande, dall'olio e dal vino che, per essere conservato, doveva essere cotto".
Forse anche per quest'antica tradizione è nata a Bomba la prima delle cantine sociali d'Abruzzo.
Anche per la produzione di olio questo comune non ha niente da invidiare alle altre zone dell'Abruzzo. E' un olio extravergine prodotto da olive che non vengono trattate con alcun tipo di antiparassitario, quindi sono naturali e genuine. La loro raccolta si fa a mano salendo direttamente sulle piante o su scale e facendo cadere le drupe su una rete stesa alla base dell'albero.
Una volta raccolte e messe nei sacchi vengono portate al frantoio e lavorate in giornata.
Nel museo le presse di pietra testimoniano gli antichi modi di spremitura dell'uva e delle olive.
L'olio si ricavava macinando le olive in appositi frantoi (pistrini). La macina per frantumare le olive era mossa da uomini o da animali. La pasta veniva messa poi nei fiscoli e spremuta sotto le presse di pietra o dei trabocchi.
In questo secondo ambiente, oltre agli oggetti riguardanti la vite e la lavorazione dell'uva e delle olive, se ne trovano anche altri: cesti e seghe di dimensioni e usi diversi, misure di legno, grate di canne dove venivano disposti per l'essiccazione fichi o pomodori, macinelle usate fin dall'antichità per macinare il grano in casa. Nel secolo scorso, quando venne istituita la tassa sul macinato che imponeva di andare a macinare ai mulini pubblici, esse venivano utilizzate di nascosto dai contadini col rischio di essere scoperti e puniti anche con la distruzione delle macinelle.
Le presse di pietra sono le antenate dei torchi. Alle presse di pietra (strettoi) seguirono i "trabocchi",
i torchi di legno e poi di metallo.



 
 
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